CARE

CARE è una installazione relazionale in cui lo spazio della chiesa di San Severo al Pendino si fa luogo ideale per isolare un’esperienza di comunione e di ascolto.

CARE (“cura”, in inglese) è un azione poetica e politica di resilienza che ci invita a lasciar cadere il superfluo deponendo le armi dell’agire. Il dispositivo è ideato per spogliarci strato dopo strato dai freni inibitori, dalle aspettative che ci guidano, e ci porta pian piano a perdere il tempo.
Entriamo a San Severo al Pendino per guardare qualcosa ma nell’oltrepassare il portale in tessuto siamo accolti da una voce che ci attira verso l’interno della sensazione d’un corpo. Ma di quale corpo si tratta? Il nostro, il tuo.

Cinque performers sono installati in chiesa, abitandola per 10 ore al giorno. Sono artisti scelti per la loro capacità di sostenere il vuoto come atto ecologico e necessità nel mondo attuale e nell’arte. Formano per due settimane una comunità inoperosa.

La loro qualità di presenza è come un cuscino sul quale poggiarsi ed affidarsi. Sono disposti nello spazio per accompagnare chiunque ne abbia voglia a deporre qualcosa di sé: il proprio corpo, una parola, un disegno.

L’installazione si compone così d’una stampa su tessuto, un corpo in azione, un video, un dispositivo sonoro, del fumo, e più luoghi in cui la partecipazione dello spettatore rivela a sé stesso e a chi osserva due aspetti della stessa realtà. Un aspetto visibile, poiché i corpi deposti e i loro accompagnatori compongono gruppi scultorei di volta in volta differenti e ci mantengono con il fiato sospeso. Un aspetto invisibile vissuto nel corpo deposto, una sorta di rivelazione che trasuda e trasforma.

CARE è la ricerca collettiva d’un’arte ecosomatica. Un umile osservatorio della dimora della vita che siamo noi.

Il tempo

CARE ci porta pian piano a perdere il tempo, a lasciarlo scorrere senza più corrergli dietro. Il tempo rivela l’impercettibile. L’immobilità, il sentire della costanza del movimento, la percezione del premovimento, lo spazio interstiziale del infracorpo vibrazionale.

Tutto il mio lavoro e la mia ricerca da anni si basa sulla necessità di restituire al corpo la sua immensa sacralità e la sua assoluta egemonia sul piano poetico.
Poesia è la capacità di ognuno di ripercorrere l’esistenza in creatività e in vitalità. Eppur non c’é vitalità senza il suo contrapposto; la stasi, la morte, il riposo. CARE attinge a tre diverse posture di morte dette “shavasana” nel mondo dello yoga e le propone al fruitore come una tappa fondamentale della visita. “È come scendere gli ultimi gradini di questo spazio”, lasciarsi condurre al suolo e aspettare che qualcosa emerga da quell’abbandono.
Allora, si rivela forse la finezza dell’impercettibile che soggiace l’opera.

L’azione

Ho incontrato lo yoga restorative con Audrey Favreau. Maestra di vita e di cura, mi ha profondamente inspirato al punto da generare in me il desiderio di trasporne e rivisitare le tecniche e farne un’opera incentrata sulla lentezza come relazione a sè e all’altro.
Ma uno spazio da solo non basta, così come un’intenzione non fa l’azione.
Ci vogliono le persone. La presenza sola è la condizione affinché il sentimento di cura possa insinuarsi e risvegliare in ognuno il ricordo del propio luogo sacro, l’immagine ricomposta della propria unità.

Deporre le armi dell’agire. Non fare. Cosa succede quando non faccio niente e cosa resta del movimento quando mi sospendo dall’agire? Il non-agire non vuol dire necessariamente non ingaggiare l’azione ma riposa sulla grande attenzione, sulla vigilanza alle piccole percezioni.
Esistenza di movimenti in noi che non sono solo i nostri ma del corpo stesso.
Nutriti dal suolo da cui la grande insurrrezione potrebbe nascere.

CARE è una installazione partecipata poiché al centro dell’opera c’è la relazione. La nostra ricerca è quella di condividere una condizione di calma inibita dalla società frenetica e produttiva. Incontrarsi, guardarsi senza un reale motivo ci permette di riscoprire un comune denominatore che agisce nostro malgrado: il corpo.
Indaghiamo la sensorialità che gira al largo delle mode convenute e dalla società. Utilizziamo la tenerezza, usiamo il tocco, usiamo il silenzio per intercettare ciò che c’è dentro al sentire. CARE è un opera colletiva dove l’arte non si vede perche l’arte sei tu. L’arte si fa corpo.

Il tocco


CARE è il desiderio di creare uno spazio consono all’esperienza poetica del corpo individuale e colletivo. Un luogo che appartiene alla filosofia quando questa diventa corpo e che solo nella quiete di uno spazio silenzioso e amorevole schiude e si dispiega come un imagine dell’invisibile.

L’infinito sensoriale dello spazio è a portata di mano.
Il tatto ci permette di riscoprire delle zone di confine. La tenerezza, il sentire dell’altro, un sentire quasi erotico che misura la distanza tra l’inizio del nostro senso del se e il caos delle emozioni piu profonde.
Gli spazi che contengo: la bocca, la trachea, la gabbia toracica, i polmoni, gli intestini…
L’attenzione va verso cio che non ha ancora un nome per esprimersi, dei vissuti a volte microscopici, a volte atmosferici, a volte talmente intimi che ci si perde nell’invisibile, a volte talmente collettivi che si riesce a stento a capire in cosa potrebbero essere davvero vissuti. Il corpo è uno spazio comune alla filosofia come alla danza. “Penser depuis la danse” vuol dire imparare a vedere il mondo, i fenomeni umani e soprumani, i fenomeni ecologici e politici, attraverso il corpo stesso.